Il medico filosofo

Il medico filosofo

In tema di pandemia e di buone condotte sanitarie, sarebbe opportuno richiamare i classici e rispolverare il Corpus delle opere mediche di Ippocrate, un passo capitale nella storia e nel progresso scientifico. Una sessantina di scritti radunati in età alessandrina, nove tomi, migliaia di pagine nell'edizione critica ottocentesca di Émile Littré affiancata da traduzione francese; certamente non tutte del Maestro ma aggregate dalla sua scuola. Si aprono col Giuramento che ancora non molti anni fa i medici prestavano nell'atto di discutere la tesi: «Giuro per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per Panacea che manterrò pura e santa la mia vita e la mia arte...»; e si chiudono col sigillo finale del primo e dell'ultimo Aforisma: «La vita è corta, l'arte vasta, l'occasione rapida, l'esperienza fallace, il giudizio arduo... Ciò che non curano le medicine, cura il ferro; ciò che non cura il ferro, cura il fuoco; ciò che non cura il fuoco, bisogna giudicarlo incurabile».
Del più famoso medico dell'antichità, come del più famoso poeta, Omero, si sa pochissimo di certo. Contemporaneo di Socrate, nacque verso la metà del V secolo a Cos, isola dell'Egeo orientale, dove antiche rovine ancora parlano di templi e ospedali. Piccolo di statura, calvo, col capo sempre velato, viaggiò parecchio, nel Nord della Grecia e in Macedonia, chiamato in soccorso di re e di città; sarebbe intervenuto, così vuole la leggenda, anche nella peste di Atene, e la dissipò facendo accendere grandi fuochi in tutta la città e sospendere corone di fiori profumati. Morì coerentemente a novant'anni.
Il passo in avanti decisivo da lui impresso alla sua arte consiste essenzialmente nell'averla razionalizzata, come si razionalizzava allora la filosofia; dalle componenti magiche e dalle pratiche empiriche esercitate da sacerdoti nei templi, senza aver lasciato alcuna traccia scritta, a cognizioni certe e a scienza eretta sulla natura dell'uomo e sull'osservazione e l'elaborazione logica di tutti i dati relativi all'ammalato, all'ambiente e alle circostanze. Col che e dopo di che procurare la salute, il bene umano più prezioso, e restaurarla con terapie adeguate quando svanisce.
Ed ecco dunque una serie di scritti che stabiliscono anzitutto quale sia la natura dell'uomo, e come l'equilibrio e la stabilità delle sue componenti, sangue, muco, bile lo fanno star bene, mentre la prevalenza dell'uno o dell'altro, perlopiù in inverno e in estate, lo sconvolgono.
Oltre alle stagioni, determinanti per il benessere sono l'ambiente, Le arie, le acque e i luoghi, per cui il medico deve accertare la posizione rispetto ai venti e al sole; le acque se palustri o salate, il suolo se arido o boscoso, le abitudini degli abitanti, se amano il bere e il pranzare o gli esercizi fisici e il lavoro, se sono miti come gli Asiatici o bellicosi come gli Europei, «per natura scontrosi, selvatici, irascibili» perché i frequenti sbalzi climatici inaspriscono la mente e affievoliscono la mansuetudine.
Assieme al clima conta molto il regime di vita. Cibarsi più volte al giorno, di orzo o ancor meglio di frumento come purgativo, e di latte di pecora per la funzione opposta; carni di capra piuttosto che di bovini; i vini riscaldano il corpo, più i neri. D'inverno mangiare molto, pane e carne cotta, pochi vegetali, e bere poco; d'estate carni bollite e focacce soffici. L'ozio indebolisce perché l’animo riposando non consuma umidità, mentre la fatica rafforza; perciò correre, fare ginnastica, ma mai camminare dopocena, e in inverno lesti, in estate calmi. I bambini siano lavati molto a lungo in acqua calda; alle donne convengono cibi secchi, più adatti alla mollezza delle loro carni.
Quanto al medico, egli «ha il dovere di presentarsi sempre con un bel colorito e un aspetto florido, poiché la gente ritiene che se non si è benportanti non si può curare convenientemente gli altri». E poi ben messo, vestito decentemente e decentemente profumato, con le unghie né troppo lunghe né troppo corte per agevolare l'uso delle dita. Sia signorile e affabile con tutti, riflessivo nell'aspetto ma non arcigno. E soprattutto abbia l'occhio clinico.
Il campo d'azione dei medici è sterminato. L'elenco, la descrizione e i medicamenti di tutte le malattie umane (trecento, secondo il calcolo di Plinio) si estendono per i quattro libri, e c'è di tutto, malattie improvvise e covate a lungo, ferite e polmoniti (un vero flagello, a giudicare dall'insistenza con cui esse ritornano e sono esaminate e riesaminate), reumatismi e malinconie, febbri, gotta, sciatica, artrite, lebbra, idropisia, angina, itterizia, tetano, pleurite, vermi e calcoli; e anche fratture ossee, lacerazioni?del cranio e delle costole, con i conseguenti interventi chirurgici.
«È bello darsi pensiero della guarigione dei malati e ottenere che i sani non si ammalino, affinché abbiano anche un bell'aspetto». E ancora: «Ti esorto a curare qualche volta gratuitamente, valutando la riconoscenza di chi ne serba memoria, preferibile all'apprezzamento momentaneo; per cui, presentandosi l'occasione di essere generoso con uno straniero o un povero, soccorrili risolutamente. Chi infatti si dimostra umano verso gli uomini, è ritenuto preso da vero amore per la sua arte».
«Non è assurdo raccomandare la saggezza per molte circostanze della vita», tanto più se non associata a un lucro turpe e a una condotta disonesta, prosegue Ippocrate in un altro testo altissimo sul comportamento dei medici. E i medici in particolare devono «trasferire la filosofia nella medicina e la medicina nella filosofia: il medico filosofo è pari a un dio». Sappiano che la loro arte è la più insigne di tutte le arti umane; e se oggi la si relega all'ultimo posto, la colpa è dell'ignoranza di chi la esercita. Come si vede, fra tanta scienza c’è anche una buona dose di etica.

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