L'era dell'infotainment

L'era dell'infotainment

Benvenuti all'anno zero. Siamo giunti a un passaggio epocale della storia dei musei chiamati a ripensarsi ancora, preparandosi a un'ennesima rivoluzione. Negli ultimi anni poche realtà hanno investito tempo, energia e risorse sulle infrastrutture digitali. Prevalente è stato un certo conservatorismo: una diffusa diffidenza nei confronti del «nuovo che avanza». Solo ora hanno utilizzato il web e i social in maniera episodica e occasionale, soprattutto come vetrine dove postare mostre ed eventi. Con un esito piuttosto paradossale: i visitatori del Louvre o degli Uffizi sono molti più di coloro che accedono ai social di questi templi dell'arte.
Lo choc-Covid ha reso evidente questo ritardo. Nelle settimane successive al primo lockdown, i musei sono stati costretti a ridefinire i propri palinsesti comunicativi, cercando di portare avanti la propria attività di produzione e di divulgazione della cultura. Alcuni hanno dovuto solo riorganizzare e integrare la propria offerta. La maggior parte dei musei, invece, ha risposto all'apocalisse in tempi rapidi, senza chiare strategie. A tali scenari l'Unesco e Icom hanno dedicato un documento, Museums Around the World in the Face of Covid-19, che ha fotografato una crisi drammatica (taglio del personale, rinvio o annullamento di mostre, rischi di chiusure definitive) e ha individuato anche alcune best practice: le risposte più originali date dai musei durante i mesi della quarantena.
Emerge la necessità di ricollocare l'offerta museale nell'orizzonte del cd. infotainment, nel quale information ed entertainment si contaminano, si sovrappongono. L'obiettivo: cogliere le opportunità dell'open access, saldando educazione e diletto, studio e divulgazione, ricerca e comunicazione. Tra le iniziative ricorrenti: la digitalizzazione delle opere; la creazione di App e la costruzione di tour virtuali con percorsi tematici su artisti o su periodi. E ancora: specifici focus curatoriali e programmi di condivisione gratuita delle immagini delle opere presenti nelle collezioni; raccolte dedicate all'impatto del Covid sulle arti; canali tematici su YouTube; interfacce nelle quali il personale del museo si confronta con il pubblico. E, poi: viaggi immersivi; giochi intelligenti; progetti collaborativi; appuntamenti riservati a persone con disabilità visiva; incursioni su social molto frequentati dai giovani come TikTok o la sua versione cinese, Douyn (Uffizi, Museum Challenge). Infine, i Mooc (Massive Open Online Courses), corsi accademici gratuiti accessibili a tutti, tra le frontiere più interessanti e ancora poco esplorate della formazione.
Per un verso, i grandi musei sono obbligati a ripensare la propria filosofia, ridefinendo i programmi delle mostre, riallestendo il patrimonio delle collezioni, valorizzando quel prodigioso giacimento che sono gli archivi e i depositi. Per un altro verso, essi non possono più eludere la sfida del confronto con il web e con i social, agorà nelle quali si generano, si distribuiscono e si condividono immagini, testi e informazioni, avviando iniziative di ascolto e di dialogo partecipato.
Dunque, non solo luoghi dove si conservano e si espongono le opere d'arte. Ma teatri per performance, happening, spettacoli, sfilate. E anche spazi per librerie e ristoranti. Non prendere atto di questa mutazione sarebbe come tentare di fermare un treno con le mani.

Artisti
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Opere (146)