Il virologo di Dio

Il virologo di Dio

Una devozione immutata nei secoli quella per Rocco, il santo pellegrino, il più invocato, dal medioevo in poi, come protettore dal terribile flagello della peste e dalle epidemie, che oggi si carica di maggiore significato per il dilagare della pandemia Covid-19.
Quest'anno, però, i festeggiamenti in onore di San Rocco sono state in formato ridotto solo attraverso celebrazioni liturgiche all'aperto e processioni in notturna; di contro, le preghiere e le invocazioni al santo sono tornate a risuonare in tutte le chiese del nostro Paese per scongiurare ieri la peste nera, oggi il Covid, la peste del ventunesimo secolo.
Uno dei focolai più accesi della sua devozione si trova in Basilicata, di cui è santo protettore in più di trenta comuni lucani. Ed è grazie a questa protezione ravvicinata che la Basilicata è una tra le regioni meno colpita dal Covid. Almeno secondo i fans di Rocco che vedono dietro le statistiche la mano invisibile del santo.
Il suo manto patronale si estende su molti altri comuni e frazioni che portano il suo nome, ben novantacinque solo nel Mezzogiorno. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, al tempo della migrazione interna dal Sud contadino verso il Nord industriale, il nome Rocco diventa addirittura un emblema identitario, il simbolo di una meridionalità dell'essere, come nel capolavoro di Luchino Visconti Rocco e i suoi fratelli.
In realtà il culto di questo santo medico cresce e ricresce nel tempo. Come se avesse lo stesso andamento dei contagi di cui, nell'immaginario popolare, è l'antidoto ultraterreno. Questo dottore soprannaturale, infatti, è veneratissimo fra Quattrocento e Seicento, quando le ondate successive di peste ammorbano l'Europa, mentre la sua popolarità va scemando nel Settecento, per poi tornare prepotentemente sulla scena della devozione nel secolo successivo, come presidio sanitario contro il colera che fa strage un po' ovunque.
Un raggio di luce nel più fitto nero della vita. Proprio così Tintoretto raffigura san Rocco che risana gli appestati, nel grandioso telero veneziano dipinto per la Scuola Grande di san Rocco. Nella tenebra di un ospedale, «pieno di letti e d'infermi in varie attitudini» come scrive Giorgio Vasari, dalla testa aureolata del santo irradia il lampo della salvezza che illumina l'intera scena.
In effetti, tutta la vita di Rocco si svolge nel segno della medicina. Da quando, nei primi anni del Trecento, parte dalla natia Montpellier per andare in pellegrinaggio a Roma e si ferma ad Acquapendente, dove infuria la peste. Lì avviene il suo debutto in corsia dove cura i malati con il segno della croce. Una volta tornato in Francia, il santo viene a sapere che Piacenza è martoriata da una pestilenza, proprio come adesso lo è stata dal Covid. Parte senza indugi per la città emiliana dove contrae la malattia. Allora decide di ritirarsi in una capanna isolata a Sarmato, vicino al fiume Trebbia e impedisce a chiunque di fargli visita, per non estendere l'infezione. Di fatto, questa autoreclusione rigorosa e altruistica è la madre di tutti i lockdown, un modello di profilassi al tempo stesso sanitaria e umanitaria. Ma la provvidenza corre in suo aiuto. A quattro zampe. Perché un cane scopre il nascondiglio del santo appestato e comincia a prendersi cura di lui portandogli del cibo che sottrae furtivamente alla mensa del padrone, il nobile Gottardo Pollastrelli, signore del luogo. Che accortosi dello strano comportamento dell'animale, lo segue e scopre la toccante verità. Rocco lo scongiura di allontanarsi e di abbandonarlo al suo destino, ma ogni preghiera è vana. Gottardo compie fino in fondo la sua opera di misericordia e assiste l'ammalato fino alla completa guarigione.
Il divino infettivologo muore intorno al 1330. Leggenda vuole che alla sua morte sotto la testa venga ritrovata una tavoletta con la scritta «Coloro che colpiti dalla peste ricorreranno all'intercessione del Beato Rocco, prediletto da Dio, ne saranno immediatamente liberati». Da allora la sua fama taumaturgica ne ha fatto uno dei santi più popolari.

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